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Gli errori e gli orrori nella comunicazione legale

La comunicazione legale non è un campo definito, né risponde a regole scientifiche, ma certamente non va interpretata come un territorio selvaggio dove tutto è lecito.

Nelle ultime settimane il dibattito sulla opportunità che gli avvocati utilizzino i social network come strumento di comunicazione e sulle modalità con le quali dovrebbero farlo si è nuovamente animato a seguito di alcuni episodi che hanno attirato l’attenzione dei commentatori e anche degli organi disciplinari.

Come spesso accade, gli errori di qualcuno infatti, finiscono per ricadere sulle spalle anche di chi non li ha commessi e chi osteggia il principio della libertà di comunicazione sui social network, esprime ora con qualche ragione le proprie critiche e invoca reprimende.

Il più significativo di questi episodi offre numerosi spunti di riflessione e costituisce un perfetto esempio di quello che… non si deve fare nella comunicazione legale.

Uno studio, il cui nome figura tra i “grandi studi” milanesi, specializzato in diritto del lavoro, ha ricevuto dall’editore di una delle pochissime testate di settore, il premio di «Studio italiano dell’anno nel settore del diritto del lavoro».

Chi conosce i meccanismi sa che questi “award”, mutuati dalla tradizione statunitense [leggi un articolo sugli award per gli studi legali cliccando qui], vengono conferiti a chi si candida da parte di una giuria che li valuta secondo alcuni criteri, tra cui il valore e l’importanza dei processi o delle operazioni di cui si sono occupati e il gradimento espresso dai loro clienti.

La candidatura va sostenuta dalla indicazione delle operazioni più rilevanti seguite dallo studio nell’anno appena trascorso. L’operazione viene menzionata nella submission ma, normalmente, viene tenuta riservata se lo studio o l’opportunità lo richiedono.

Gli errori di comunicazione più comuni

Lo studio protagonista di questo episodio ha pubblicato su LinkedIn un post in cui esprime soddisfazione per il premio ricevuto.

Fin qui niente di male. Il post è forse poco elegante per i toni piuttosto autocelebrativi, ma non c’è nulla di sbagliato nell’esprimere soddisfazione per un riconoscimento.

Il post però prosegue riferendo per esteso la motivazione:

«Stimato per la proattività e la lungimiranza con cui affianca i clienti. Come nell’assistenza a […] per la chiusura dello stabilimento fiorentino e l’esubero di circa 430 dipendenti.
Lavoro di #squadra, #passione e #dedizione, questi i valori nei quali crediamo e che ci spingono a voler raggiungere traguardi sempre più alti.»

Il post è corredato di una immagine realizzata durante la cerimonia di consegna del premio e contiene il TAG del nome del managing partner dello studio.

Questa uscita non è passata inosservata e ha suscitato critiche che hanno superato i limiti della stampa di settore e sono approdate sulla stampa nazionale. Il sindaci del comune e del capoluogo interessati, insieme al Collettivo di fabbrica che rappresenta i lavoratori coinvolti nella vertenza hanno risposto per le rime rimarcando non solo la mancanza di tatto, ma anche il fatto che il licenziamento collettivo di cui lo studio si vanta nel post, fosse stato nel frattempo annullato dalla magistratura.

L’attenzione sollevata sulle espressioni usate (quel “circa” riferito a lavoratori licenziati, l’inappropriato entusiasmo delle espressioni attorno ad un evento così delicato e l’insuccesso professionale seguito all’annullamento dei licenziamenti), si è sommata a quella per la violazione più evidente e dal peso specifico maggiore, perché legata alla deontologia forense.

L’articolo 35 lettera 8) del Codice deontologico forense vieta espressamente di «indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano». Riguardo a questo aspetto, la violazione è palese.

Schermata sito Lablaw

È appena il caso di segnalare che dopo le polemiche il post è stato rimosso dai Social Network sul quale era pubblicato. Stranamente anche il sito di studio si presenta al momento oscurato nell’area blog, deputata ad accogliere i contenuti di comunicazione.

Gli obiettivi della comunicazione legale e gli strumenti per raggiungerli

Gli errori commessi dallo studio non si limitano, da un punto di vista della comunicazione, a quelli piuttosto marchiani già sottolineati:

  • Il tono trionfalistico e auto celebrativo;
  • la menzione del nome del cliente;
  • l’indelicata gioia per aver contribuito a far licenziare molti lavoratori e quel “circa” che disprezza gli aspetti umani coinvolti;
  • aver rivendicato un successo in una causa che in realtà si è persa;
  • l’accostamento dell’esubero di personale a concetti come passione, dedizione e squadra;
  • in generale l’uso della lingua;
  • l’uso degli hashtag, inventati e non significativi dal punto di vista della indicizzazione del post;
  • l’assenza di un post sul sito di studio.

Alcuni di questi punti riguardano la liceità del contenuto, altri lo stile di comunicazione e alcuni gli aspetti più strettamente tecnici.

Gli obiettivi, lo stile e la tecnica della comunicazione legale

Altri articoli di questo blog affrontano il tema della individuazione e fissazione degli obiettivi di comunicazione corretti per lo studio legale.

Si tratta sempre di scelte legate a precise ragioni di marketing e posizionamento dello studio quindi non possono essere generalizzate.

È vero per tutti che la comunicazione ha lo scopo di migliorare la reputazione dello studio in favore di clienti attuali e potenziali.

La reputazione è l’opinione che gli altri hanno dello studio, dei suoi componenti e leader, delle loro qualità personali e professionali. Nulla di male dunque a rendere note le competenze, i successi professionali, i riconoscimenti ricevuti, a patto che concorrano a migliorare l’opinione degli altri e non a comprometterla.

 

Come recuperare agli errori di comunicazione

La domanda che non tutti si pongono è come si recupera quando capita (solo chi non fa nulla non sbaglia), di commettere errori nella comunicazione dello studio legale.

Una regola aurea da utilizzare in ogni caso di comunicazione di crisi, utile a tamponare gli effetti negativi di qualche evento o notizia, è quella di dire tanto, dire il vero, dire per primi.

Se si lascia che a commentare l’evento o la notizia imbarazzanti o negativi siano i terzi, si può stare certi che si assisterà impotenti ad un peggioramento della percezione.

Le qualità di onestà e rettitudine, di osservanza della deontologia e persino dell’equilibrio nella comunicazione, in un caso come questo, andrebbero rimarcate nei fatti, a cominciare da un articolo che chiarisca quanto è successo.

Si tratta evidentemente di un errore di inquadramento della situazione, in sé positiva, del riconoscimento di un premio. A causa dell’errore sul tono e del travisamento del contesto non solo si è perso l’effetto reputazionale del premio, ma si è danneggiata l’immagine dello studio.

Lo studio non ha alcuna responsabilità né possibilità di incidere sulla volontà del cliente di chiudere uno stabilimento licenziando i lavoratori, ma può fare bene il suo lavoro, rispettando la dignità di questa scelta e della situazione difficile in cui si troveranno i lavoratori. Prima ancora di questo però, bisogna ricordare che non c’è nessuna ragione per menzionare l’operazione, tanto delicata e riservata, nel momento in cui ci si compiace di aver ricevuto un premio.

Per recuperare basterà ripetere che si è trattato di un errore, che nulla ha a che fare la forza della squadra e la sua determinazione con i destini delle persone coinvolte, ma che fare bene il proprio lavoro consiste anche nel saperlo comunicare e, quando si sbaglia, lo si riconosce.

Sul profilo tecnico invece, per migliorare basterà seguire i consigli degli esperti.