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SEO per avvocati, organica o a pagamento?

Mai come nel 2020 la comunicazione degli avvocati su internet è diventata cruciale.

Il distanziamento e il lavoro da remoto hanno fatto impennare tutta l’attività di ricerca e di erogazione dei servizi sul web, con l’effetto di marginalizzare chi sul web non c’è o c’è ma non è attivo in maniera corretta.

di Paola Parigi

Dotarsi di un sito, strutturarne la parte dinamica (blog), affrontare la programmazione editoriale, gestirla anche sulle propaggini Social (pagina e profilo LinkedIn e Facebook, canale YouTube, Podcast, etc.), non è più un’opzione, ma una attività che deve essere strutturata in tutti gli studi legali.

Per ottimizzare la propria presenza e raggiungere gli obiettivi di comunicazione occorre rendersi visibili, migliorare o rafforzare la propria reputazione online, raggiungere direttamente clienti attuali e potenziali con i propri messaggi.

Due scuole di pensiero, meglio l’ADV della fatica?

Le tecniche per riuscirci vengono diversamente interpretate da avvocati giovani o meno giovani, così come da consulenti di comunicazione più o meno esperti.

Alcuni minimizzano gli aspetti editoriali a favore di quelli tecnici (investimenti in contenuti a pagamento su Google, in gergo google advertising).

L’esperienza ci ha insegnato che nel medio lungo periodo quello che in gergo si chiama «engagement organico» sia ancora lo strumento migliore nel settore di servizi professionali e in particolare in quello dei servizi fiduciari, quali sono quelli forniti dagli studi legali. Probabilmente questa affermazione non vale per chi produce e commercializza prodotti, ma certamente ha un senso per chi eroga servizi e soprattutto servizi delicati e altamente personalizzati come quelli legali.

Stimolare la condivisione, contare i “like”, verificare quante visite al sito derivano da un post sui Social Network, se per una azienda non rappresenta una indicazione così utile, per un avvocato o uno studio legale ha invece ancora importanza.

Quando sono utili i contenuti a pagamento?

I contenuti sponsorizzati su internet sono probabilmente accettabili deontologicamente (in quanto sono una forma pubblicità), ma lo sono meno dal punto di vista culturale.

Nei casi in cui il brand debba affermarsi o abbia bisogno di riaffermarsi, può avere senso sponsorizzare i contenuti dello studio sui Social media e su Google, altrimenti no.

Alcuni dei casi in cui un contenuto sponsorizzato è utile sono:

  • quando il sito non esisteva ed è alla sua prima apparizione;
  • se lo studio nasce in quel momento e nessuno lo conosce;
  • si tratta di uno spin-off che deve differenziarsi dallo studio di provenienza;
  • lo studio promuove un evento pubblico.

Negli altri casi, i clienti che vedono contenuti “sponsorizzati” da uno studio legale, non ne ricevono una buona impressione.

Il marketing dei servizi è, come si è detto, reputazionale e tutto quello che non fa «buona impressione» è da evitare con cura.

La pianificazione e la cura editoriale pagano

Il web premia il lavoro di pianificazione, di analisi delle tendenze, di continuo, lento e costante condivisione sul sito e sui social di contenuti testuali e multimediali.

Nel tempo, infatti, si produce l’effetto di:

  • riportare il nome dell’autore e del suo studio all’attenzione del suo pubblico;
  • costruire lentamente ma inesorabilmente un pubblico di clientela potenziale;
  • affermare l’accostamento tra il nome e gli argomenti di expertise;
  • di lasciare traccia sul web, come briciole di pane che aiuteranno anche i potenziali clienti inconsapevoli a trovare i contenuti;
  • riaffermare le competenze di chi scrive anche con effetto sulla SEO (parole chiave e ranking da parte dei motori di ricerca.

In questo caso, come in molti altri, conta molto di più la costanza nell’esercizio di comunicazione che non l’ammontare dell’investimento pubblicitario.


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